Coordinamento Nazionale Immigrazione
Reggio Calabria, 4-5 giugno 2018
“Sangu meu! Sciato di lu core meu!”. Racconta l’antropologa Giorgia Mirto che pronunciando queste parole (“sangue mio, respiro del mio cuore”) un’anziana donna sicilliana, a Porto Empedocle, osservava la sepoltura di due corpi sconosciuti recuperati in mare.
Questa capacità di compenetrare nel dolore dell’altro, di sentire il sangue e il respiro altrui come i propri, è ciò che più sembra dissolversi nel sopravanzare generale di una narrazione, sul tema dell’immigrazione, pericolosamente ostile e ingiustificatamente – secondo l’indagine “Eurobarometro” in Italia si percepisceuna percentuale del 24% di stranieri mentre il dato reale è solo del 7% – allarmistica. Ma è a partire dalle nostre comunità locali, dalle nostre parrocchie, che possono nascere pratiche positive e un discorso alternativo sulle migrazioni. Ed è stato proprio questo il messaggio lanciato da Caritas Italiana nel corso del Coordinamento Nazionale Immigrazione, svoltosi il 4 e 5 giugno scorsi a Reggio Calabria, durante il quale particolare risalto è stato dato ai temi dell’accoglienza – e dei corridoi umanitari, in special modo – e della degna sepoltura dei migranti deceduti in mare, tema con il quale la Caritas di Reggio Calabria e tutti gli encomiabili membri del Coordinamento Diocesano Sbarchi (attualmente più di cento volontari) fanno i conti essendo in primissima linea nelle operazioni di soccorso nel porto cittadino. Ai momenti di analisi politica, economica, sociologica e antrolopologica, si sono affiancate le visite sul campo alle persone e ai luoghi che incarnano, in quella terra così difficile, le due opere di Misericordia “accogliere lo straniero” e “seppellire i morti”.
Nel cimitero del Comune di Armo, un piccolo paese a pochi chilometri dal capoluogo, la Caritas Diocesana di Reggio Calabria-Bova ha dato degna sepoltura a 45 vittime (donne, uomini e bambini di varie nazionalità e religioni) del naufragio di un barcone il 27 maggio 2016. Molti di loro restano sconosciuti. La volontà del direttore Don Nino Pangallo è di farne un’opera-segno, un luogo simbolico che parli. Che educhi. Un monumento che ricordi coloro che non ce l’hanno fatta. Oggi il cimitero è di nuda terra, ma presto sarà abbellito con tombe curate, con lapidi che riporteranno nomi, nazionalità e religioni di appartenenza, con piante di oleandro e di ulivo. Ma per farlo c’è bisogno di non pochi denari e don Nino Pangallo spera di raccoglierli coinvolgendo le Caritas Diocesane di tutto il territorio nazionale. Affinchè il cimitero di Armo diventi davvero espressione della umana pietà di tutto il territorio nazionale. E la Caritas Diocesana di Teramo-Atri, che di questa storia vuole essere parte, lancerà nei prossimi giorni un appello attraverso il proprio sito internet (www.caritasteramoatri.it).
Durante la visita, c’è stato spazio per una breve e semplice commemorazione. Accompagnato dai canti gospel di un gruppo di ragazzi africani, Martin Kolek, un operatore della Caritas di Paderborn, in Germania, ha deposto una corona, composta da messaggi scritti su carta colorata, sopra le due piccole tombe di Maryam e Mohamed. Martin Kolek, in quel maggio 2016 era volontario sulla nave della ONG che prestò i soccorsi in mare. Credeva fossero vive quelle piccole creature che teneva tra le braccia. Si chiese quale fosse il loro nome, dove fossero i genitori, perché si trovassero lì. “Dopo poco – ha ricordato Martin – mi ritrovai a consegnare al futuro dei corpicini esanimi”.
Eppure si può e si deve pensare al futuro. Cercando innanzitutto di comprendere. Vi sono infatti delle cause strutturali nel fenomeno migratorio dai paesi africani, che hanno a che fare con fattori come l’esplosione demografica, una crescita a singhiozzo basata solo sulle materie prime non trasformate (e non ancora sulla manifattura e su un solido mercato interno), le persistenti carenze infrastrutturali, le grandi disuguaglianze nella distribuzione del reddito, l’instabilità politica di molti paesi e non da ultimo i cambiamenti climatici. Tutto ciò causa il flusso di spostamenti di fronte al quale le politiche di esternalizzazione delle frontiere e di deresponsabilizzazione dei paesi di destinazione, di cui sono esempi i recenti accordi con Libia e Niger, non potranno che risultare inutili e causare la nascita di nuove rotte ancora più pericolose e foriere di altre tragedie.
La soluzione, per Caritas Italiana, sta nella creazione di canali d’ingresso legali e sicuri. Come accaduto con i corridoi umanitari, nati da un Protocollo d’intesa siglato dalla Cei con lo Stato Italiano, tramite i quali 500 etiopi arriveranno in Italia nell’arco di due anni. Anche in questo caso la Caritas Diocesana di Teramo-Atri ha fatto la sua parte, ospitando già, da dicembre 2017, tre uomini e due donne etiopi nell'ambito di un altro progetto sulle evacuazioni umanitarie dalla Libia. Molte altre diocesi in Italia si stanno preparando ad accogliere i prossimi arrivi attraverso i corridoi. Saranno ospitati in famiglie o in altre strutture. Si tratta di un numero certamente esiguo. Ma sarà un segno importante, che creerà nelle comunità più consapevolezza e solidarietà.