Il racconto della giornata della legalità, dell'impegno e della responsabilità sul tema: A 25 ANNI DALLE STRAGI DI CAPACI E VIA D'AMELIO, organizzata lo scorso 30 agosto dalla Scuola di Formazione all'Impegno Sociale e Politico "Paolo Borsellino" e dalle Caritas dell'Abruzzo e del Molise.
Dalle parole illuminanti di don Gianni Carozza a quelle dolorose e accorate di Salvatore Borsellino.
Il giorno 30 agosto si è tenuta presso la parrocchia di Castelguidone, in provincia di Chieti, la giornata della legalità, dell'impegno e della responsabilità dal titolo A 25 ANNI DALLE STRAGI DI CAPACI E VIA D'AMELIO, organizzata dalle Caritas dell’Abruzzo e del Molise e dalla Scuola di formazione all’impegno sociale e politico “Paolo Borsellino”.
I lavori si sono aperti con la lectio divina tenuta dal professore di Sacra Scrittura don Gianni Carozza, sul concetto di giustizia nel Vecchio e nel Nuovo Testamento. Il professore ha sottolineato come nelle Sacre Scritture la giustizia coincida con l’indignazione per le ingiustizie subite dagli uomini. Dio, infatti, si accende per i diritti che sono violati e la sua ira, anziché essere un difetto, è il pathos di un Dio ferito dal male sofferto dai suoi figli. Ed è proprio tale pathos – ha spiegato don Gianni – che troppo spesso siamo incapaci di fare nostro, vivendo, al contrario, nel pericolo dell’indifferenza, frutto di un’educazione che talvolta insegna l’insensibilità e la rassegnazione verso le ingiustizie subite dai nostri fratelli, piuttosto che lo sdegno per queste.
Afferma il profeta Amos: “Guai agli spensierati di Sion” e poi:
“Canterellano al suono dell'arpa,
si pareggiano a David negli strumenti musicali;
bevono il vino in larghe coppe
e si ungono con gli unguenti più raffinati,
ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano.
Perciò andranno in esilio in testa ai deportati“.
Nonostante Dio ci abbia dato in custodia gli uni agli altri, spesso la ricchezza ci rende ciechi, incapaci di preoccuparci della rovina di Giuseppe, chiudendoci in un egoismo all’interno del quale ci illudiamo di essere cristiani senza però essere umani. Parlare di giustizia, infatti, equivale nelle Sacre Scritture a parlare di relazione. Giustizia è indignazione e compassione, lasciarsi toccare dal male che gli altri subiscono e dalle più svariate povertà umane, per poi reagire al fine di restituire dignità a ogni uomo.
La giornata della legalità è poi proseguita con la testimonianza di Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo Borsellino. Salvatore Borsellino ha ricordato l’ultimo discorso pubblico del fratello ad un mese di distanza dalla strage di Capaci: “Giovanni Falcone lavorava con perfetta coscienza che la forza del male, la mafia, lo avrebbe un giorno ucciso. Francesca Morvillo stava accanto al suo uomo con perfetta coscienza che avrebbe condiviso la sua sorte. Gli uomini della scorta proteggevano Falcone con perfetta coscienza che sarebbero stati partecipi della sua sorte.
Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché non si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore!”.
Ed è proprio questo amore verso una Palermo ferita, umiliata, e la speranza in un suo riscatto, ad accomunare i due magistrati e ad aver spinto entrambi a indignarsi e a lottare fino al martirio.
Salvatore Borsellino ha ricordato come il fratello non avesse mai accettato che lui – ingegnere elettronico – fosse andato via dalla Sicilia, trasferendosi al Nord. Ha raccontato come in ciascuna, e fino all’ultima, delle loro frequenti conversazioni telefoniche, gli chiedesse immancabilmente: “Toto (così Paolo chiamava il fratello) quand’è che torni?”. E lui, puntualmente, rispondesse: “Che torno a fare?”.
Oggi Salvatore, nel quartiere popolare della Kalsa, a Palermo, presso i locali dell’antica farmacia di famiglia, ha dato vita alla “Casa di Paolo”, un luogo che offre una foresteria, un doposcuola e diversi corsi di formazione, per dare l’opportunità ai giovani e ai bambini di fuggire la povertà e la mafia.
“Così facendo – ha concluso Salvatore Borsellino – spero che un giorno, prima di andarmene, potrò finalmente dirgli: hai visto, Paolo, sono tornato”.
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