La Caritas Diocesana in trasferta a Lecce
Un augurio e una stretta di mano, magari impacciata, prima della foto di gruppo. Qualcuno tra noi non è riuscito a esprimere molto altro, nel momento dell’incontro, nella sagrestia del Duomo di Lecce, con Monsignor Michele Seccia, al termine della giornata in cui ha preso possesso dell’Arcidiocesi salentina. Una timidezza quasi impaurita che per tanti anni non ha mai smesso di visitarci quando all’improvviso faceva capolino nei nostri uffici teramani, ma che lui puntualmente scioglieva con cordialità semplice e aperta, spesso ironica. E così è accaduto anche questa volta: “ecco la Caritas! San Gabriele è arrivato intero, sì?” riferendosi ad alcuni scatoloni che abbiamo trasportato, in occasione di questa cerimonia, per completare il suo trasloco nella nuova abitazione.
Ma ciascuno di noi avrebbe voluto dirgli molto altro, ognuno con la propria storia, con il proprio vissuto ormai indissolubilmente intrecciato alla storia della Caritas e in particolare alla storia della Caritas diocesana sotto la sua presidenza. Eravamo in quindici ma sentivamo di essere rappresentanti di una famiglia molto più grande: uomini e donne che hanno trovato e trovano tra le nostre mura un ultimo appiglio alla vita e spesso un punto di partenza verso il riscatto, immigrati che vediamo pian piano integrarsi e diventare nostri amici, famiglie in difficoltà che vengono sostenute con servizi che le Amministrazioni Pubbliche Locali spesso non riescono più a fornire. Volontari desiderosi di mettere in pratica le loro più nobili aspirazioni, professionisti del Terzo Settore valorizzati nelle loro competenze.
Certo, la storia della Caritas di Teramo-Atri è lunga e inizia nel 1974, ben prima dell’insediamento di Monsignor Michele Seccia. Ma quello che è accaduto durante i suoi undici anni di episcopato ci fa sentire partecipi di qualcosa di straordinario.
Nello stesso giorno in cui Sua Eccellenza iniziava il ministero pastorale nella nuova Arcidiocesi, a circa ottocento chilometri di distanza, a Firenze, Caritas Italiana discuteva delle più stringenti questioni economiche insieme alle principali realtà dell’associazionismo nazionale, nella terza edizione di Novo Modo, Responsabilità di tutti. Veniva ribadito l’impegno sui temi della finanza etica e sulle prospettive di un percorso educativo per un rinnovato sviluppo integrale dell’uomo. In tale occasione si è guardato con favore a nuovi modelli di economia civile, capaci di creare circuiti sociali e lavorativi virtuosi, alle cooperative sociali, alle realtà impegnate nel servizio civile alla comunità, nell’accoglienza e nell’inserimento sociale e lavorativo dei migranti. Ebbene, tutto questo, oggi, nella Chiesa particolare di Teramo-Atri, è già realtà. E non lo sarebbe stato senza la testimonianza, il coraggio e la lungimiranza del nostro vescovo Michele Seccia.
Le iniziative cooperativistiche legate alla Caritas hanno restituito al lavoro e alla vita persone svantaggiate e hanno dato nuove opportunità a giovani delle nostre terre destinati a oscillare tra disoccupazione e sfruttamento, a scegliere tra emigrazione o inoperosità, per colpa della crisi che morde e perdura. Invece un’altra via è stata aperta. Una strada nel deserto. Un altro modo di lavorare, di stare insieme, di guardare all’altro (scardinando tutti i pregiudizi e superando tutte le differenze culturali e religiose) che non genera profitto ma valore sociale, dignità, speranza, futuro. Possibilità di creare nuove famiglie e di sostenere quelle già esistenti. Di sentirsi utili mentre fino a poco prima ci si sentiva un peso per la collettività. Un mondo colorato, inclusivo, qualche volta chiassoso ma concreto come il lavoro a favore di famiglie e imprese colpite dal terremoto e dalle frane. Come le stalle ricostruite. Amare con i fatti e non con le parole. Perché “sono i fatti il modo più vero e più ricco di fare cultura, di proporre scelte e stili di vita, di abitare la dimensione comunitaria della carità” come ebbe a dire un ex direttore della Caritas Italiana. Ecco, se avessimo avuto la prontezza di aggiungere qualcos’altro, nell’attimo dell’incertezza, forse avremmo detto: Eccellenza, a Dio piacendo, proveremo a fare ancora di più. E ancora meglio.